Non vedo Pasquale Paoli da qualche centinaio d'anni. Ma sono molto contento di avere riallacciato con lui rapporti via mail. Adesso che mi ha dato il permesso di pubblicare le parole che leggerete qui sotto, parole dedicate all'umanità di cui ognuno di noi fa parte a modo suo e quasi sempre pensando ai cazzi propri (io almeno faccio così di solito)... Adesso che posso pubblicare i suoi pensieri sono ancora più contento.
Pasquale mi sembra simile a me.
Ossia non più giovane (sui 35, mi ricordo male Pasquale?) ma manco sereno. In lotta con questo mondo di m.
E allora, prima di lasciarvi alle sue parole che convido al 99% (altrimenti non voterei per Pannella) consiglio dal profondo del cuore anche un libro di un vecchio montanaro, Mario Rigoni Stern, quello de Il sergente nella neve. Si chiama Stagioni è l'ha scritto recentemente. Ci si respira tanta serenità. Come se Stern che ha fatto la ritirata di Russia (mica noccioline) ha saputo trovare. Non dico dove e come perchè sennò rubo il piacere del libro. Dico invece che io darei 5 o 10 anni di vita per capire come cavolo ha fatto.
Ma sto divagando.
Signore e signori, websurfer di tutto il pianeta. Ecco a voi il Pasquale Paoli Pensiero.
Per chi volesse conoscerlo meglio (oppure dirgliene quattro), ecco la sua mail: Pasquale_Paoli@excite.it
Hai messo su un discreto blog, devo dire. Io ho rissato sempre più stupidamente su infernet per anni, trovandola letteralmente gremita di stupidi, incompetenti, idioti, piccini, inutili, venduti, cattivi e dementi puri e semplici; mi sono stufato ed ho quasi smesso di usarla. Le persone interessanti che vi ho incontrato si riducono a una o due, in mezzo a tanto forsennato ciarpame.
Ho comunque letto il tuo pensiero sulla violenza negli stadi, che in Albione sarebbe in calo. Ci credo: tra prezzi folli e telecamere, è cambiato il target delle partite e dunque è cambiato il pubblico. La violenza sociale è spaventosamente aumentata in tutto il cosiddetto occidente, ma si sfoga fuori dallo stadio, fuori dai locali, fuori dalle città, fuori da tutto. Espressione di fasce crescenti di popolazioni destinate all'esclusione, che il generale indementimento priva anche di guide politiche in grado di incanalare essa violenza verso forme costruttive, verso il rivendicare una qualche soluzione alle zero speranze, zero futuro, zero case, zero garanzie, lavori di merda, stipendi che sono una pacca sulle spalle e condizione giovanile da occultare in silenzio.
Mi càpita un paio di volte l'anno di alzare le chiappe da Prào, dove lavoro come un pazzo dieci ore al di' (ti scrivo ora che sono in attesa della telefonata di un tale che ha da risolvermi una piccola magagna su un database) e di andare a Parigi e a Milano.
La periferia parigina è semplicemente dantesca. Decine di ragazzi che vivono come in "la haine", il film di Mathieu Kassovitz che una decina di anni fa presentava già un quadro che avrebbe tenuto sveglio la notte chiunque avesse un minimo di responsabilità amministrative o educative: tutti dai quindici ai trentacinque anni, fotocopie culturalmente annichilite dell'ultima moda nel Bronx di sette generazioni prima, tutti a girare per le strade e per le stazioni della metro senza nulla da dire, nulla da fare. Nessun movimento politico vi fa presa, con infinitesime eccezioni per qualche forma di solidarietà di orientamento islamico. La loro voglia di distruzione esplode a tratti in fiammate di eccezionale violenza collettiva ed è una risposta al "non esistere" cui sono condannati dalla nascita, perché sono almeno venticinque anni che in Occidente la solidarietà è considerata al più uno hobby per dementi sfanculabili, e l'ineguaglianza sociale un dovere civico. Si esiste solo perché si possiede. E neppure vanno a cercare qualche ricco da rapinare o da sprangare: colpiscono i vicini, i genitori, quelli che in mezzo a tanto zero possono dire di avere una macchina usata e alimentata a cambiali. Risse tra poveri alimentate da chissà che merda chimica, visto che anche in Toscana, a quanto mi dicono, lo hashish sta sparendo dalle piazze e sta lasciando il posto a quella merda colombiana di cui gli occidentali più involuti portano con orgoglio il nome sulle felpe o sulle magliette.
La destronzaggine francese ha messo a governare una classe politica che sui poveri si accanisce, sicura di un ritorno elettorale immediato. I casi umani che a Firenze ciarlano, scagnano, ciarlano e ciarlano contro -per fare un esempio tra tanti- le spese per i campi nomadi trovano nella zuppa pestilenziale cui è ridotta la politica "occidentale" un brodo di coltura eccellente: sempre per lo stesso esempio, non so se in Francia esistano campi nomadi sovvenzionati; in compenso ho visto quelli non sovvenzionati, non controllati, non custoditi, non puliti, in cui roulottes e tende sono abbarbicate su catene montuose di rifiuti. Se ne vedono lungo la linea tre della ferrovia suburbana.
In Francia come altrove, la perenne emergenzialità dei fascisti ha messo in piedi in pochissimi anni un mondo in cui basta un niente per ritrovarsi dalla parte dei cancellabili, dei paria, dei reietti; basta un disturbo del comportamento di media gravità, con la povertà a garantire il precipitare di ogni sorte. L'esistenza di una Francia bianca di serie A e di una nera di serie B è realtà da un bel pezzo ed ancora, nonostante l'evidenza di un mondo che esplode loro in faccia praticamente tutti i giorni, l'idea di fondo per tante carogne ossessionate delle casette in Canadà, cui la legge e l'economia hanno foderato gli occhi di lardo al punto tale che non sanno più neanche di cosa stiano parlando, è che negando un "finanziamento" o una "sovvenzione" i problemi e le persone cessino di esistere: ma qui si tratta per l'appunto di persone e di gruppi sociali, non di stabili ex pubblici da cartolarizzare, o di greppie da ripulire tipo le fondazioni liriche o le aziende municipalizzate, non so se mi spiego.
Giovedi quindici febbraio di quest'anno di Grazia duemila e sette ero a Milano al termine di una faticosa giornata di lavoro fieristico. A causa della pressoché nulla conoscenza della città ho finito per trovarmi, con altre due persone, a cena in un blasonato ed antico ristorante di via Vittor Pisani frequentato dai più discutibili personaggi del bel mondo e dalle loro cortigiane. Per una cena di buon livello qualitativo ma di discutibilissimo rapporto quantità-prezzo abbiamo speso centosettanta euro in tre. Due antipasti, tre secondi, una bottiglia di vino e due d'acqua. Nostro vicino di tavolo il calciatore Ronaldo, accompagnato da una fitta schiera di colleghi e di scherani, e un dj celeberrimo presso la parte più deafferentata del pubblico radiofonico, in onore del quale il direttore di sala ha fatto passare non so quale canzonaccia su capitan uncino, giunta a metà cena a fracassar timpani e coglioni in ispregio dell'ambiente gravido di pretese di raffinatezza.
Altro contrasto con l'occidentalissima e modaiola asetticità del posto, il trattamento alquanto familiare da parte del personale di servizio, che non ha disdegnato di commentare senza alcuna adulazione la silhouette e le abitudini alimentari del brazileiro strapagato. Approvo il realismo impietosissimo del commentatore assicurandogli che quel signore non costituisce un modello per nessuno di noi tre. Caricato mugugnando il salatissimo conto sul groppone dell'azienda, usciamo dal locale. Il Pirellone è a cinquanta metri, tanto quanto distano le infauste architetture della Stazione Centrale.
Il centro nevralgico della Milano che entusiasmò Guareschi e che rese agra la vita di Bianciardi. In tono con l'ambiente e perfetta per collocazione sarebbe quindi la sede di Alleanza Nazionale, con un'insegna su cui spiccano le parole FINI e IN PRIMA PERSONA, se non fosse per un dettaglio distante 6 (sei) metri, che rivela tutt'altro stato di cose. A poca distanza dall'insegna di cui sopra, ed a due passi dall'ufficio di Formigoni vedo tre persone che tentano di dormire nei sacchi a pelo, sotto la luce ebete dei neon accesi tutta la notte.
Gli entusiasti della mondializzazione magnificano l'esistenza di quartieri di Mumbai dove si vive come a Milano; si dimenticano regolarmente di citare i quartieri di Milano dove si vive come a Mumbai.
Davanti a un contrasto del genere, che diventa sempre più frequente nella totale indifferenza della stragrande maggioranza della popolazione, viene in mente che Giorgio Bocca ha intitolato uno dei suoi ultimi libri "L'Italia l'è malada". Non pensavo che l'ex partigiano, in tarda età, riuscisse ancora ad essere tanto ottimista. L'Italia non è "malada", è proprio moribonda. Un paese in piena agonia sociale, dove impera e detta legge una torma di gente volgare, stupida e cattiva. La prima considerazione che viene da fare a chi vi torna, dopo un periodo anche breve trascorso in un paese rimasto "a quote più normali", come definiva anni fa Franco Battiato una quotidianità in cui "le iene degli stadi e quelle dei giornali" avevano una valenza residuale invece che essere perpetuamente al centro della scena, riguarda le facce della gente comune. Quelle che si vedono in giro, per la strada e sui marciapiedi. Sono facce torve, grinte, ghigne, musi di passanti.
Il riflesso di uno stato di paura perpetua, rinfocolata ad arte fino a farla diventare reale; la dittatura della "sicurezza" che impesta, tanto più martellante quanto più diventa illusoria, ogni aspetto del vivere quotidiano. Lo spettacolo delle piazze vuote e dei giacigli per le strade è la migliore conferma dell'imputridimento sociale vicinissimo al trionfo; la migliore risposta, e la più efficace, a chi ciarla di un inesistente paese del Bengodi sciorinando ad ogni campagna elettorale quintali di "cifre" false e manipolate.
La realtà, cui tutti i media indistintamente evitano di fare il minimo cenno, è quella di un paese dove domina senza contrasti l'ostentazione di un'ignoranza abissale ed assoluta in ogni campo dello scibile, in cui "cultura" è oramai una parolaccia, un insulto che teste sempre più vuote sbavano quotidianamente nei confronti dei pochi che ancora cercano di rappresentare con un minimo di dignità i sudditi della penisola italiana. Maurizio Gasparri affermò a suo tempo che al posto di Luzi avrebbe dovuto essere nominato senatore a vita Mike Bongiorno, ed aveva ragione. L'Italia attuale è molto meglio rappresentata da Mike Bongiorno che da Mario Luzi perché è il degno risultato di un lavoro indefesso, alacre, continuo, che in trent'anni di televisione, di debiti, di eroina, di idiozia, di ineludibili boiate criminali l'ha trasformata da paese civile e reattivo che era ad aggregato indistinto di individui tenuti insieme solo dalla condivisione di un individualismo manicomiale, per i quali non vi è colpa più grande di criticare il pilota di turno: sono proprio trent'anni che al timone di questa narrenschiff si alternano campioni di malafede contornati da una ciurma di azzeccagarbugli litigiosi e mediocri, avendo da tempo il teatraccio dei partiti perso ogni appeal per chi abbia un minimo di rispetto di sé.
E tutti simulano il piglio eroico e sicuro di un Colombo o di un Magellano e nei circenses di cui sono protagonisti fanno finta di non sapere che non stanno in mezzo ad un oceano, ma in un lavandino impestato di una melma lercia ed ubiqua, nella quale il naufragio è praticamente già in corso. Un paese dove dal 1989 in avanti, con una tendenza che non ha più conosciuto alcun serio contrasto dal 2001 ad oggi, almeno un terzo della cittadinanza -per tacere dei migranti- si è visto ogni giorno togliere la terra da sotto i piedi in nome di una dittatura del denaro gabellata come superiore interesse generale; sfanculati con nonchalance dai loro stessi rappresentanti politici, interi settori della società sono privi di interesse perché privi di potere d'acquisto, inutile dunque sprecare spazio e microfoni per le loro istanze.
In fondo, il modo di procedere legittima agli occhi di chiunque la democraticità di un sistema politico sempre più indistinto dal funzionamento dei mass media: non occorre ammazzare o imprigionare nessuno (beh, quasi); basta spengere un microfono, manipolare un'intervista facendo diventare bianco ciò che è nero, pubblicare smentite anche rabbiose in pochi righi che nessuno legge, sotto una valanga di titoli di scatola sempre più vacui e demenziali. Ci hanno provato anche di recente, con prassi ormai ordinaria, quando a Catania un poliziotto è rimasto ucciso in tumulti di ultras (e nota bene che tutto si è svolto FUORI dallo stadio): per qualche tempo, una scritta su un muro di Livorno è parsa colpa più grave di un omicidio in una piazza catanese, commesso evidentemente da mani meno degne, sempre ed in ogni caso, di essere additate al pubblico disprezzo.
E poco tempo fa Clemente Mastella è letteralmente uscito di melone perché per una mezza volta, un individuo destinato ad essere macinato dalla repressione a senso unico di una legge che si applica ai poveri e si interpreta per i ricchi, è riuscito ad andargli in culo e a far sentire la propria voce. Uno degli arrestati (padovano o milanese, non mi ricordo) dentro dal 12 febbraio con l'accusa di terrorismo. Non sono riusciti a cancellarlo, a stivarlo silenzioso nell'ennesima galera di un paese guardato a vista come in Orwell, infarcito di forze dell'"ordine" a livelli mai visti prima. Uno smacco intollerabile. In un'epoca impestata da mezzani e caporali di tutti i tipi, in cui nessuno più lavora perché tutti "fanno business", si toglie in modo ininterrotto sempre più visibilità al numero crescente di persone per il quale il semplice rimanere in vita soddisfacendo i bisogni primari del lavoro e della casa è diventato un'impresa impossibile; tutta gente alla quale, nel migliore dei casi, spettano le offerte di "prestiti" e di "mutui", nonché le edificanti pagine dei rotocalchi di annunci economici grondanti avvisi di "professionisti dell'immobile" e di altri tafani del genere. Il tutto neil'ebetudine vacua e condiscendente di una classe politica a cui la borghesia più piccina ha imparato da tempo ad avviare i propri scarti, i figli riusciti male, i nipoti fancazzisti: che vi si dedichino anima e corpo, così non fanno danni altrove.
In questo contesto in cui la realtà quotidiana stride ogni giorno di più con quella dipinta dai media e dal mondo lunare in cui vivono politicanti ed affaristi, la disuguaglianza sociale impera dogmatica e continua allegramente a crescere. Ed ancora, nessuno a chiedersi davvero se non si è esagerato, col pensiero unico e con la pornocrazia che sul web incornicia tra due femmine da trivio perfino i discorsi del presidente della repubblica...