4.5.19

GOMORRA COME UNA TRAGEDIA GRECA: NON PUO' CHE FINIRE TUTTO TRA LACRIME E SANGUE


I greci andavano a godersi le tragedia sapendone già la trama. Erano quindi spettatori esigenti. Godevano della recitazione, della messa in scena, dei dialoghi, della qualità dello spettacolo (...). Non dovevano scoprire chi è l'assassino per emozionarsi (giallo). Non dovevano sorbirsi un inutile fluire di rotture e riconciliazioni come in Beautiful (telenovela). 

Quando invece noi "evoluti" contemporanei ci sorbiamo una serie credendo che essa sia l'apice dell'intrattenimento e dello show biz assoluto della storia dell'umanità (si si, certo), sappiamo che in realtà è comodissimo seguire una serie perché i personaggi sono più o meno gli stessi? Sappiamo che la pigrizia culturale e creativa sembra essere la principale caratteristica dello spettatore contemporaneo?

Per fortuna tra un reality e un talent show, programmi più lontani che mai dalla musica o dall'arte o dal talento (tutti), Gomorra ci dà una speranza.

Gomorra, prodotto italiano, non è, ovviamente la rappresentazione realistica di Napoli. Non rappresenta affatto la criminalità, che non uccide più (lo dicono i numeri, basta informarsi). 

Gomorra, immenso prodotto italiano che supera in tutto i Troni di Spade e decine di serie americane "di culto", proprio come una tragedia greca, ci dice, soprattutto con la morte di Donna Patrì e pure di Ciro L'Immortale (o tornerà?), che non c'è speranza. Ci dice che tutti crepano, SEMPRE senza motivo, perché gli Dei vogliono così. Che solo Genny, il più cattivo di tutti (per ora) può sopravvivere. 

Genny, che nell'ultima puntata della serie 4 è diventato immenso. Più grosso dello schermo. Gli occhi non gli tremano più: ha deciso, sa e fa.

Non ci sono buoni, ci sono solo i cattivi e più cattivi e se non l'hai capito, guarda guarda fuori della finestra e poi guardati dentro. E' tutta fiction o gli Dei ci vogliono male e solo il più cattivo sopravvive? Ti senti davvero tanto più buono di loro? 

(Lorenzo Tiezzi)