24.8.08

Le Olimpiadi e gli italiani sedentari.

Gent. Cesare,

ho letto su Libero l'articolo che ha voluto dedicare a ciò che per lei significano le Olimpiadi di Pechino. Per la manifestazione appena conclusa non è stata altro che una perdita di tempo, un rito consacrato nel tempio delle banalità, con i cinesi che hanno fatto vincere l'oro alle loro bambine (si, ha ragione, bambine), una banalità vuota mentre in Tibet e pure in Georgia continuano a morire. 

Senz'altro molte delle cose che ha scritto sono condivisibili. Ad esempio, il Cio è un insieme di tromboni che invece di lodare Bolt per la sua gioia (ben diversa dall'umiliazione dell'avversario) tutta africana, colorata, splendida. Sono gioie che solo pochi hanno una volta nella vita e fa pure piacere vedersele in tv. Almeno a me.

Siccome la stimo, mi permetto di scriverle cosa penso io degli atleti e dei loro sforzi. Anche a loro lei ha riservato le sue bacchettate, ma l'ha fatto con un po' dell'altro del 'sano' sedentarismo italiota che tutti ci accomuna. Noi, anzi i nostri antenati, una volta, in un tempo lontano, dominavamo il mondo perchè avevamo capito che mente e corpo sono un tutt'uno. Lei invece se l'è dimenticato.

 Lei fa distinzione (ancora) tra atleti professionisti e non professionisti, quando i veri ricconi sono i calciatori e uno come il pugile Cammarelle probabilmente farà per tutta la vita il poliziotto. Avrebbe potuto scrivere, e le avrei dato ragione, che è l'ora di finirla con tutti questi atleti - militari. Se lo stato deve dare un aiuto agli atleti che lo dia con strutture autonome, non dando stipendi tutta la vita a destra e a manca. In USA e in Gran Bretagna ci sono le Università, in altri paesi il sistema è diverso, qui da noi è il solito casino... Ma non l'ha scritto. 

Lei non ricorda e probabilmente non capisce quanto fa bene al mondo intero un Antonio Rossi che scende dalla sua canoa dopo tanta fatica e dopo un quarto posto che lo consacra come PERDENTE... e riesce a scherzare senza prendersela con nessuno. Lei probabilmente i rulli con cui si allena Josefa Idem a casa sua a Ravenna non sa manco cosa sono. Eppure scrive. 

Tagliando corto, la morale dello sport è che vincere è tutto e perdere fa schifo. Solo questo. Solo che quando lo sportivo perde, parlo dello sportivo vero, non si lamenta, non se la prende con l'arbirtro e con l'allenatore. Dopo un attimo di sconforto, cerca solo di fare meglio la prossima volta.

Se a lei tutto ciò non interessa, anzi, se lei tutto ciò non lo capisce, e se per caso ha qualche dubbio glielo scrivo io: lei non lo capisce... non ne scriva.

Oppure ne scriva dopo che una mattina, una sola mattina della sua vita, d'inverno, si è alzato alle 5 e mezzo, poi è andato davanti alla più importante piscina della sua città. Si accorgerà che già alle 6 c'è chi nuota, prima di andare a scuola. E mica la Pellegrini, bella e vincente. C'è un sacco di gente che non arriverà mai da nessuna parte ma che dallo sport, forse, impara qualcosa senza pretendere di fare il maestro, il maestrino  o il mister no.