10.7.09

Sottoscrivo in pieno quanto dice Eco su Berlusconi - ossia io sono contro Berlusconi

Sottoscrivo in pieno quanto dice Eco su Berlusconi.

Ossia, io sono contro Berlusconi su tutto quello che fa, perché è
Berlusconi. Perché non riesce a vedere più in là delle sue
convenienze, che ogni tanto sono le nostre, ogni tanto no. Io, come
idee, sono vicino a Forza Italia, perché no... ma finché c'è lui, io
non lo voto e sono contro. Il suo conflitto di interessi è evidente?
Lui pensa alle sentenze... Lui fa qualcosa di buono? Si, ogni tanto
si, ma al suo posto potrebbero esserci altri ancora meglio, molto
meglio, meno ricchi e potenti di lui.

Il nemico della stampa, di Umberto Eco

Sarà il pessimismo della tarda età, sarà la lucidità che l'età porta
con sé, ma provo una certa esitazione, frammista a scetticismo, a
intervenire, su invito della redazione, in difesa della libertà di
stampa. Voglio dire: quando qualcuno deve intervenire a difesa della
libertà di stampa vuole dire che la società, e con essa gran parte
della stampa, è già malata. Nelle democrazie che definiremo 'robuste'
non c'è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno
viene in mente di limitarla.

Questa la prima ragione del mio scetticismo, da cui discende un
corollario. Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia
(vorrei dire da Catilina in avanti) è stata ricca di uomini
avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma
senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare
un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e
costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e (talora)
alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con
l'interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno
conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo
ha permesso. Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela
con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare?

Ricorderò sempre una storia che raccontava mia mamma che, ventenne,
aveva trovato un bell'impiego come segretaria e dattilografa di un
onorevole liberale - e dico liberale. Il giorno dopo la salita di
Mussolini al potere quest'uomo aveva detto: "Ma in fondo, con la
situazione in cui si trovava l'Italia, forse quest'Uomo troverà il
modo di rimettere un po' d'ordine". Ecco, a instaurare il fascismo
non è stata l'energia di Mussolini (occasione e pretesto) ma
l'indulgenza e la rilassatezza di quell'onorevole liberale
(rappresentante esemplare di un Paese in crisi).

E quindi è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire,
il proprio mestiere. È la maggioranza degli italiani che ha accettato
il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo
Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente - se
il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio - la
mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa
nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa
complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse
a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa - che
sarà però ben presto superata perché è da quel dì che gli italiani, e
i buoni cristiani in genere, vanno a mignotte anche se il parroco
dice che non si dovrebbe.

Allora perché dedicare a questi allarmi un numero de 'L'espresso' se
sappiamo che esso arriverà a chi di questi rischi della democrazia è
già convinto, ma non sarà letto da chi è disposto ad accettarli
purché non gli manchi la sua quota di Grande Fratello - e di molte
vicende politico-sessuali sa in fondo pochissimo, perché una
informazione in gran parte sotto controllo non gliene parla neppure?

Già, perché farlo? Il perché è molto semplice. Nel 1931 il fascismo
aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un
giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e
persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il
fenomeno sia all'epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe.
Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti
dell'antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro
Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a
diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti
avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però
quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l'onore dell'Università e
in definitiva l'onore del Paese.

Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si
sa che non servirà a niente.

Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto.