Michele Serra su Repubblica
Mi sono domandato come mai, per istinto, io provi simpatia per Giuseppe Conte. Non per la persona, della quale so pochissimo. Per il ruolo: un signore fino a ieri l'altro sconosciuto dal quale oggi ci si aspetta che compaia in televisione, ogni tot giorni, per dirci, con evidente affanno, con comprensibile approssimazione, TUTTO. Dalla riapertura dei parrucchieri al futuro dell'industria pesante, dal distanziamento degli ombrelloni ai soldi per chi ha fame, dai miliardi garantiti dall'Europa al bonus babysitter.
Infine, l'ho capito. Provo simpatia per Conte perché provo simpatia per lo Stato, del quale Conte è, in questo momento, il portavoce (il garante è Mattarella). Lo Stato deriso e sputacchiato, farraginoso e obsoleto, al quale tutti, d'improvviso, ci siamo rivolti perché ci dicesse che accidenti dovevamo fare. Lo Stato dal quale nessuno si aspettava più niente, e dal quale adesso chiunque pretende quattrini, garanzie, salvezza, cura. Compreso chi, allo Stato, ha dato zero, considerandolo appena un impiccio alle sue fortune personali. Anche chi lo odia, oggi pretende il suo soccorso.
Alle favolose fortune private, con i loro centri studi e la loro spocchia manageriale, nessuno ha chiesto niente, forse perché nessuno si aspettava niente. È all'edificio oscillante dello Stato che, in tutto il mondo, la paura di morire ha ricondotto gli uomini. Alla sanità pubblica. Ai provvedimenti di legge. Alle risorse comuni. Dev'essere per questo - perché sono statalista - che provo simpatia per Giuseppe Conte, comunque vada a finire la sua improba impresa: dare una risposta a sessanta milioni di domande.
MICHELE SERRA