6.9.07

Pavarotti, Giulini e Silvia Gregorini, mia mamma

Che dice Luciano Ligabue della morte di Luciano Pavarotti

Lucianone se n’è andato.
Io ho avuto il privilegio di sentirlo cantare a due metri da me.
E quello che ho sentito non mi sembrava di questo mondo.
La sua voce, “quella” voce, lanciata in un acuto durante “Certe notti”, non permetteva a nessun amplificatore né tantomeno a nessuna orchestra di osare coprirla o anche solo infastidirla.
Era più forte di tutto.
Forte (guarda un po’) come la personalità di chi la possedeva, quella voce.
Circa un paio di mesi fa sono andato a trovarlo, a Modena.
Combatteva con la sua solita forza una malattia così terribile.
Però, pur in quelle condizioni, continuava a impartire lezioni di canto ai suoi allievi.
Assistendo a una di queste ho capito ancora di più quanto, pur potendo contare su un talento enorme, Lucianone abbia messo nella sua vita in termini di dedizione, attenzione, determinazione (insomma: lavoro), per poter essere quello che è stato.
Intorno a lui c’erano tutti i suoi amici, quelli che frequentava da una vita.
Credo che questo la dica lunga su di lui più di molte altre parole.
Perché erano lì, dicevo, tutti.
Ancora a giocare a carte dopo sessant’anni di partite con quello che non ci stava mai a perdere.

Credo che abbia avuto tutto dalla vita.
Ma, se mi sentisse, mi direbbe probabilmente di andare a quel paese.

Un abbraccio a Nicoletta, le sue figlie, i suoi famigliari e gli amici.

CHE DICO IO della morte degli artisti

Pavarotti non l'ho mai conosciuto, ma trovo che le sue collaborazioni con U2 e Brian Eno e Zucchero siano davvero belle, Miserere non ebbe il successo che meritava... Mentre il disco dei Passengers uno dei pochissimi capolavori pop o pop chill out con una voce lirica.

E ovviamente ripenso a mia mamma, che come tutti gli artisti quando non ha più potuto dipingere insegnava. E i suoi allievi forse hanno imparato qualcosa, ma più probabilmente no. Visto che l'arte e la musica non si imparano mai, almeno io la penso così. Ma il fatto di provarci a lasciare qualcosa che sia più di te, più della tua opera, forse anche più importante di quello... credo sia splendido.

Forse la vita, per dirlo con un po' troppa enfasi, è questo. Ossia fare cose assolutamente incongrue per il gusto di farle.

Adesso che ci penso, una delle poche cose che sono davvero orgoglioso di aver fatto fare a mia mamma è stata portarla al Lirico di Milano a sentire una delle ultime prove con orchestra di Carlo Maria Giulini. Suonavano Mozart piano, pianissimo. E la voce del maestro (ma si, la maiuscola è solo un fatto scemo, non importa) parlava in un soffio. Ricordo di avergli solo detto che ascoltarlo era sempre un'emozione, sai che originalità ma era vero e forse l'ha sentito, che era vero diro. E adesso il lirico è chiuso, mia mamma e Giulini non ci sono più, e l'orchestra Verdi ha problemi.

La malinconia è ovvio che ci sia. Ma forse, forse... ne valeva la pena. Anzi, quei momenti valgono qualcosa. Quando godi e godi e tutto il mondo intorno non conta assolutamente un cazzo di niente. I sorrisi e la stanchezza degli orchestrali, l'incapacità di alcuni di loro di capire cosa stessero vivendo. Come, nella loro vita, non avrebbero mai avuto un direttore così. Tutto ciò era solo, in quel momento, un quasi niente. C'ero solo io con mia mamma prima in platea e poi in un palco sulla sinistra. E probabilmente c'era pure Wolfang Amadeus, che per una volta sentiva la sua musica come si deve.